“Ogni cent’anni bisogna nazionalizzare le banche”. Rimasto in sordina Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed, svela la sua ricetta contro la crisi.
Dagli Stati Uniti l’ipotesi nazionalizzazione attira sempre più sostenitori e appare sempre più vicina. La bandiera di Obama potrebbe sventolare presto su Citigroup e Bank of America.
L’ipotesi di nazionalizzazione non sarebbe indolore per il mercato. In uno studio Ubs prova a tracciare le conseguenze di una simile operazione.
Gli analisti della banca d’affari svizzera dividono in tre categorie gli istituti analizzati. Quelli con un Core Tier 1 (indice che misura la solidità patrimoniale delle banche) superiore all’8% non dovrebbero avere nessun bisogno di un aiuto dello Stato. Banche con un Core Tier 1 compreso fra il 4 e l’8% che dovranno ricorrere ai vari programmi governativi: emissione di bond, garanzie statali, accettando anche severe regole. Infine nella lista stilata da Ubs si trovano gli istituti con un Core Tier 1 sotto il 4%: per loro l’unica soluzione sarà la nazionalizzazione.
Il motivo è molto semplice: il crollo dei mercati e la crisi economica potrebbe portare importanti svalutazioni e le banche con un Core Tier 1 basso rischiano di registrare perdite superiore al proprio patrimonio. Fino ad oggi, si legge nel report, l’abolizione degli standard contabili Ias 29 ha permesso di non svalutare le partecipazioni in portafoglio limitando i danni. Il proseguire del calo dei mercati, però, rischia ora di limitare gli effetti benefici. La nazionalizzazione sarebbe l’unica soluzione. “Ma non sempre – aggiungono gli analisti - le soluzioni buone per il sistema lo sono anche per gli azionisti”.
Il caso Giappone del 1998 insegna. Anche allora la crisi era caratterizzata da un forte credit crunch, dallo scoppio di una bolla immobiliare e da una deflazione durata anni con tassi ai minimi storici. Il governo, per salvare il sistema finanziario, fu costretto a nazionalizzare due banche in crisi, LTBC e NCB. Le regole del processo erano chiare: azzeramento totale del valore delle azioni che per legge passarono sotto il controllo dello Stato, svalutazione del 25% dei titoli di privilegio, rimborso dei bond.
Sarebbe questo il vero motivo per cui, da quando sia in America che in Europa si è tornato a parlare di nazionalizzazioni, le banche sono crollate. Gli azionisti temono infatti che lo Stato espropri a prezzi ridicoli i loro titoli. E Ubs avverte che se gli Usa procederanno a nazionalizzazione con azzeramento del valore delle azioni, il giorno dopo in Europa le banche verrebbero travolte dalle vendite. Il consiglio dunque è di agire in maniera coordinata tra i diversi Paesi, ma in fretta, altrimenti più si rimanda l’intervento più i mercati subiranno l’incertezza dell’intervento.
Gli analisti delle banca svizzera hanno stilato la lista dei titoli che in Europa non avranno nulla da temere, fra questi: Intesa SanPaolo, Hsbc, Itau Td Bank e Scotiabank non rischiano nessuna nazionalizzazione. Le altre banche italiane non sono citate da Ubs, ma tutte hanno un Core Tier 1 superiore al 4%.
Stamattina anche il premier Silvio Berlusconi ha detto chiaramente che "in Italia la nazionalizzazione delle banche non è in nessun modo ipotizzabile perché il sistema bancario è molto solido, siamo un popolo di risparmiatori e le nostre banche non hanno corso l'avventura dei titoli tossici".
Il presidente del Consiglio ha aggiunto che il governo ha messo a disposizione 10-12 miliardi "per incrementare la patrimonializzazione delle banche", ma "ad oggi nessuna banca italiana si è sentita necessitata ad utilizzare queste somme".