martedì 17 febbraio 2009

UNICREDIT E L' EST EUROPA


Il sistema finanziario dell’Europa dell’Est scricchiola e le banche internazionali presenti nell’area devono fronteggiare una situazione sempre più critica. La caduta del prezzo del petrolio fa vacillare anche la Russia: la settimana scorsa il premier Vladimir Putin ha messo la firma ad un secondo pacchetto di aiuti al sistema creditizio da 1.000 miliardi di rubli (46,7 miliardi di euro), ma i soldi in arrivo non sembrano riuscire ad allentare le tensioni. 

Stanotte il numero uno dell’associazione delle banche regionali della Russia, Anatoly Aksakov, ha detto ai giornalisti che gli istituti di credito chiederanno assistenza al governo di Mosca nella trattativa intavolata per avere una moratoria sui prestiti con le banche europee. In ballo ci sono 135 miliardi di euro di debiti in scadenza nel 2009 e 400 milioni di euro nei 5 anni successivi.

L’affermazione ha scosso stamattina i mercati finanziari ed ha costretto il ministro delle Finanze, Alerei Kudrin, a smentire.

Gli eventi della mattinata sono l’ultimo dei segnali di un peggioramento dello scenario nell’area e sono un nuovo avvertimento per Unicredit . Per la banca guidata da Alessandro Profumo la Russia vale l’1,69% del totale degli impieghi del gruppo a fine settembre 2008. I depositi arrivano a 7,3 miliardi di euro, l’1,1% sul valore complessivo del gruppo.  

Un analista che preferisce l’anonimato si aspetta che Unicredit alzi gli accantonamenti prudenziali legati all’area dell’Europa dell’Est portandoli al 2,00/2,50 per cento degli impieghi totali. In Italia la gestione del rischio prevede accantonamenti pari a circa lo 0,8-1,0 per cento sul totale degli impieghi.

In tutta l’area lo scenario sta diventando sempre più tenebroso. La fuga dei capitali esteri, gli stessi che avevano alimentato la vivace crescita dell’ultimo decennio, ha messo a terra il rublo (-35% contro l’euro negli ultimi quattro mesi). La discesa della valuta sta soffocando le famiglie che in questi anni si sono indebitate in euro per approfittare del favorevole differenziale tra i tassi di interesse. Di conseguenza, le banche si trovano a fronteggiare il pericolo di un vertiginoso aumento dei clienti che non saranno in grado di pagare la rata del mutuo denominato in euro.

Non stanno meglio le aziende, che nell’ultimo decennio si sono legate mani e piedi alla Germania e oggi risentono in modo pesante della recessione della prima economia europea.

Unicredito non può permettersi di stare a guardare quello che succede nel Centro-est Europa.  Gli impieghi del gruppo nella zona ammontavano a fine settembre a 88,4 miliardi di euro: la quota maggiore è in Polonia (21,7 miliardi di euro), la Russia è al secondo posto con 10,6 miliardi di euro e di seguito ci sono la Croazia (8,1 miliardi), la Repubblica Ceca (6,7 miliardi) e l’Ucraina (4,5 miliardi). Nell’area sono compresi anche i Paesi asiatici dell’ex Unione Sovietica, quelli che stanno subendo i colpi più duri dalla crisi e dalla discesa del prezzo del petrolio.

Il Kazakhstan (4,25 miliardi di euro di impieghi) è uno di questi, Unicredit è entrato nel Paese nel giugno del 2007 rilevando Atf Bank, la quarta banca locale: in quel momento le prospettive erano rosee e spendere 1,7 miliardi di euro, circa 30 volte gli utili, sembrava una scelta ponderata. Ad un anno e mezzo di distanza la situazione si è capovolta, la settimana scorsa il governo di Astana, ha svalutato la moneta del 18% e in precedenza aveva nazionalizzato i primi due istituti di credito del Paese.

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