lunedì 9 novembre 2009
Guerra nel Golfo dei Caraibi?
Quali saranno le conseguenze nell'area latino americana? Sembra che il governo Venezolano si stia armando e il presidente abbia avvertito le forxe armate ad essere pronte ad una guerra..
E' pur vero che l'economia mondiale si muove grazie alla costruzione e vendita delle armi.. quindi da quel punto di vista.. qualcuno si sta arricchendo. Forse sempre gli Stati uniti?
Questa volta sembra ci sia lo zampino di Israele... tra i più quotati produttori d'armi al mondo.. forse ci saimo anche noi italiani? terzi produttori a livello mondiale??
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mercoledì 17 giugno 2009
domenica 31 maggio 2009
Il fondo a sostegno dei Guarani-Kaiowà
La situazione in cui versano oggi i Kaiowà è spaventosa. Le loro terre sono state distrutte, i loro leader vengono assassinati e i loro bambini muoiono di fame. Tuttavia, le comunità non desiderano denaro e ricchezza, e non ambiscono a ricevere razioni di cibo dal governo. Tutto ciò che chiedono è solo terra a sufficienza per vivere e riprendere il controllo delle loro vite e del loro futuro.
In occasione del lancio del film La terra degli uomini rossi - Birdwatchers, Survival International ha istituito un fondo speciale a loro nome. Ogni euro raccolto aiuterà i Guarani Kaiowà a difendere i loro diritti umani, a riconquistare le terre ancestrali, a ripristinare i loro orti.
Aiutali! La situazione è molto grave ma il loro destino non è segnato.
Le donazioni possono essere effettuate on-line a mezzo carta di credito, compilando le pagine seguenti in ogni loro parte.
Per altre modalità di pagamento off-line – bonifico bancario, assegno bancario o conto corrente postale –, clicca qui.
venerdì 22 maggio 2009
domenica 17 maggio 2009
martedì 5 maggio 2009
E se l'Influenza fosse solo una montatura?
Il Presidente messicano Felipe Calderon l'ha ormai ammesso candidamente e chiaramente la settimana scorsa a Los Angeles:
La capacità del Messico di produrre petrolio sta declinando perché le nostre riserve sono in esaurimento. Probabilmente dureranno solo altri 9 anni.
Il Messico ha (aveva) molto petrolio: è il terzo Paese a esportare petrolio in USA (dopo Canada e Venezuela), e il 40% delle entrate dello Stato messicano derivano proprio dal petrolio.
La mucca spremuta si chiama Pemex, compagnia nazionale statale che estrae il greggio da tutto il golfo del Messico. Effettivamente, è da tempo che si vocifera di una depletion dei giacimenti messicani, specialmente di Cantarell che è il terzo giacimento del mondo per dimensioni.
Noi siamo abituati a vedere i Paesi petroliferi, specialmente quelli con compagnie statali, negare recisamente ogni difficoltà di produzione e problemi di riserve. Come mai il Messico fa eccezione, e annunciapetrolio in esaurimento urbi et orbi addirittura per bocca del suo presidente? I più maliziosi pensano al solito zampino dellecompagnie statunitensi: Calderon ha infatti suggerito di chiederne l'aiuto per quanto riguarda tecnologie estrattive più avanzate, che consentano di sfruttare meglio ciò che rimane nei pozzi. Dietro questa dichiarazione apparentemente soft, c'è chi ci legge il primo passo per la privatizzazione della Pemex e la sua svendita alle compagnie straniere, col presidente complice. Dare via uno dei simboli della nazione, una vera bandiera del Messico, e sua principale fonte di guadagno è davvero impensabile: accadrà sul serio?
In un palazzo blindato e protetto dai militari, il senato messicano ha approvato la «riforma» dell'industria petrolifera che apre la strada alla privatizzazione dell'impresa pubblica Pemex, nazionalizzata settant'anni fa con una raccolta di fondi popolare
Il 24 ottobre scorso il senato messicano, asserragliato in una torre blindata e protetta da 1200 poliziotti federali in seduta antisommossa, ha approvato con soli 10 voti contrari il pacchetto di sette leggi che consentirà l’ingresso di capitali privati nella Petroleos Mexicanos – Pemex, la storica impresa petrolifera pubblica del paese. La votazione è avvenuta a chilometri di distanza dalla sede del parlamento assediata da giorni dai manifestanti che chiedevano la rinuncia del governo alla riforma energetica.
La Pemex non rappresenta soltanto il 40 per cento delle entrate fiscali del paese, ma fa parte dell’identità collettiva del Messico. Nazionalizzata nel 1938 dal presidente Lazaro Cardenas, per riscattarla l’allora governo lanciò una sorta di azionariato popolare chiedendo alla popolazione di collaborare con i propri [pochi] averi a rilevare l’impresa. Da allora, la Pemex ha salvato l’economia messicana dal baratro del fallimento in diverse occasioni, e sempre più nel cuore dei messicani è divenuta una delle fondamenta su cui poggiano indipendenza e democrazia. La riforma varata nei giorni scorsi mette fine a molte delle restrizioni alla partecipazione di capitali stranieri nell’impresa, prevede per la compagnia un regime di autonomia finanziaria [non più subordinato allo stato] e consente la concessione a terzi di campi petroliferi per le attività di indagine, estrazione e trasporto di idrocarburi. Secondo il Centro Studi sulla Finanza Pubblica del Messico, la riforma della Pemex provocherà a medio e lungo termine una caduta verticale nelle entrate fiscali federali tali da rendere inevitabile il ricorso a ingenti tagli nella spesa pubblica. Proprio sulla Pemex e sul petrolio del golfo del Messico si erano giocati i destini delle elezioni del 2006. Durante la campagna elettorale Felipe Calderòn aveva promesso al popolo e soprattutto agli Stati uniti una riforma energetica tale da svecchiare il mercato e favorire investimenti stranieri per rinnovare le ormai obsolete infrastrutture petrolifere nazionali. Nessun accenno al peso economico che hanno le entrate della Pemex sul bilancio messicano, né ai rischi che l’economia del paese correrebbe se non potesse più contare sugli utili del petrolio.
Contro la riforma si sono mossi il numero uno dell’opposizione, Andres Manuel Lopez Obrador ma anche un movimento popolare trasversale, numerosissimo, riunito nel Movimento in Difesa del Petrolio. Nonostante il montare delle proteste e delle manifestazioni in difesa della Pemex e anche grazie a una campagna di informazione faziosa e martellante a favore della riforma, a ottobre il governo ha deciso di serrare le fila, legittimando l’intervento delle forze armate pur di approvare la riforma in tempi brevi.
Durante il voto, alla presenza delle forze armate, hanno votato a favore i partiti di governo Pan e Pri, i Verdi Ecologisti ma anche la maggioranza del partito di opposizione, il Partito della Rivoluzione Demacratica, disattendendo le indicazioni del leader Lopez Obrador. Persino l’ultima fragile barriera interposta da Obrador alla riforma – che limitava la possibilità di concedere interi blocchi a imprese straniere per attività esplorative o di sfruttamento – è stata rigettata dal parlamento. Dopo l’approvazione in Senato è arrivata a stretto giro l’approvazione della Commissione per l’energia della Camera dei deputati, avvenuta senza discussione in aula e in meno di 5 ore.
Secondo molti, la fretta con la quale si sta approvando la riforma petrolifera è segno chiaro della volontà di arrivare all’approvazione del pacchetto di leggi battendo sul tempo le numerose manifestazioni di piazza convocate in difesa della Pemex questa settimana. Manifestazioni però ampiamente confermate, che minacciano di bloccare il paese per difendere gli interessi nazionali contro quelli, sempre più forti e invadenti, delle compagnie petrolifere straniere che già bussano alla porta.
mercoledì 29 aprile 2009
Influenza suina-Perchè il panico è infondato
Quando si generano gli errori
E’ possibile, oggi, una ripetizione delle pandemie influenzali che uccisero milioni di persone, come la «Spagnola» nel 1918? In realtà il panico in proposito non appare giustificato: i sistemi di sorveglianza epidemiologica, attivati in tutto il mondo, sono molto più sofisticati che in passato e le misure di prevenzione e diagnosi più efficaci. Poi ci sono i farmaci e i vaccini: gli antivirali, scoperti in questi ultimi anni, funzionano.
Questa volta è la scienza che va ascoltata. Per non rischiare un altro «fiasco» come quello dell'amministrazione Ford, che, di fronte al panico di una nuova «spagnola», aveva vaccinato, nel 1976, 40 milioni di americani contro l’influenza. Inutilmente, perché l'epidemia non si è mai verificata. In questi giorni il nuovo virus, partito dal Messico (e simile a quello che si era diffuso in America sotto la presidenza di Gerald Ford), sta contagiando il mondo. Gli esperti, però, l’avevano previsto: le grandi mutazioni dei virus influenzali, quelli che provocano le grandi epidemie (pandemie) avvengono proprio nell'arco di una quarantina d’anni (la spagnola è del 1918, l'asiatica della fine degli anni Cinquanta); oggi, però, rassicura l'Organizzazione della Sanità, un'ipotetica pandemia si può evitare. I virus moderni prendono l’aereo ed è per questo che si diffondono così rapidamente.
Ma i sistemi di sorveglianza epidemiologica, attivati in tutto il mondo, sono molto più sofisticati che in passato: sono in grado di tenere sotto controllo la situazione e di suggerire misure di prevenzione. Basti pensare a quello che è stato messo in atto con la Sars e con l'aviaria: una sorta di «prova generale» che ha dimostrato la validità della collaborazione internazionale nell'affrontare l'emergenza. Il virus è nuovo, è vero, ma i genetisti stanno già leggendo il suo codice genetico. Questo significa la possibilità di avere test in tempi rapidi in grado di diagnosticare correttamente i casi di infezione. E poi ci sono i farmaci e i vaccini. Gli antivirali, che sono stati scoperti negli ultimi anni, funzionano contro questi nuovi agenti di infezione. E i virologi hanno già identificato il «cuore» del virus, quella parte contro la quale deve essere diretto il vaccino. Se un problema esiste è proprio quello della variabilità virale: di solito questi microrganismi cambiano rapidamente il loro «vestito» e sfuggono ai sistemi di intercettazione dell'organismo. Ecco perché il vaccino deve essere il più possibile mirato alla parte «immutabile». Ma anche qui le biotecnologie hanno fatto passi da gigante. Niente panico, dunque, e un appello alla popolazione, come fa la rivista Lancet: chi ha i soliti sintomi di influenza prenda le distanze dagli altri e metta in atto una forma di «autoisolamento». Sembrerà banale, ma funziona.
Adriana Bazzi
giovedì 26 marzo 2009
Resta senza lavoro: si dà fuoco in Campidoglio
Resta senza lavoro: si dà fuoco in Campidoglio
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Una casa popolare, di quelle che cadono a pezzi e si allagano in continuazione. Un passato remoto di piccole rapine e un presente da lavoratore onesto, che non ha i soldi per crescere suo figlio. Vincenzo Cesaretti, 39 anni, era stato licenziato sei mesi fa da un panificio e martedì aveva scoperto che non avrebbe avuto diritto al sussidio di disoccupazione, perché il datore di lavoro non gli aveva versato i contributi. Ieri voleva dimenticare tutto, ma far parlare di sé. Così poco dopo le 9 si è trasformato in una torcia umana, davanti a piazza del Campidoglio. Ma il tentativo di suicidio è fallito grazie a un agente, che è intervenuto prima che il fuoco lo consumasse.
Un’ora prima, uscendo dalla sua abitazione a Ponte di Nona, aveva incontrato un amico. «Gli ho chiesto dove andava - racconta l’uomo -. Non mi ha risposto e ha tirato dritto».
Vincenzo è giunto in Campidoglio, tra il colonnato e l’entrata Sisto IV, quella usata dai dipendenti comunali per accedere al palazzo. Poi si è cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco. A soccorrerlo è stato un poliziotto, in servizio per la visita dei Reali di Svezia.
L’agente si è tolto il giubbotto e lo ha gettato sull’uomo per spegnere le fiamme, aiutato da alcuni dipendenti del Comune. «Sono disperato», ha confessato con un filo di voce ai soccorritori. «Sono un disoccupato, il mio è stato un gesto dimostrativo», ha confermato più tardi ai medici del Sant’Eugenio, dove è stato ricoverato per ustioni di secondo e terzo grado sul 20 per cento del corpo.
«S’è messo a piangere - ha raccontato la sua compagna Paola -. Mi ha detto che aveva dovuto farlo, perché nessuno lo stava ad ascoltare e gli dava risposte alla sua richiesta di disoccupazione. Aveva lavorato tre anni in una cooperativa. A ottobre era stato licenziato e da metà gennaio non si sa quante volte è andato all’Inps, per chiedere notizie per la disoccupazione. Continuavano a ripetergli di non sapere niente, di farsi vedere più in là». «Due giorni fa - conclude la donna - il direttore dell’Inps lo ha ricevuto e gli ha spiegato che la cooperativa aveva versato solo i contributi pensionistici, ma non quelli per il sussidio».
«Ciò che è accaduto non ci lascia indifferenti - dichiara l’assessore provinciale al Lavoro Massimiliano Smeriglio -. Verificheremo con rigore i comportanti dell’ex datore di lavoro e saremo al fianco di Vincenzo e della sua famiglia, per individuare possibili soluzioni che possano dar loro speranze per il futuro».
Ieri pomeriggio una decina di aderenti al Coordinamento cittadino di lotta per la casa ha manifestato davanti al Campidoglio, per esprimere solidarietà a Cesaretti esponendo un cartello: «Vincè: Roma sta con te. Casa, reddito, dignità». «Stiamo parlando di una persona che si svegliava tutte le notti alle 3 per andare a consegnare il pane - racconta Danilo, un suo amico -. Quando, per problemi di salute, ha chiesto di essere spostato dal turno notturno a un qualsiasi altro servizio, è stato licenziato in tronco. Non è giusto. È un gran lavoratore, una persona dedita alla famiglia, un bravo uomo».
Ma non sono loro gli unici... I lavoratori autonomi... se non c'è il "mercato" non guadagnano un euro, mentre devono comunque pagare tasse, Inps, diritti a Consob, Camera di Commercio, ecc. ecc..Chi pensa a loro? (noi?)
Un’ora prima, uscendo dalla sua abitazione a Ponte di Nona, aveva incontrato un amico. «Gli ho chiesto dove andava - racconta l’uomo -. Non mi ha risposto e ha tirato dritto».
Vincenzo è giunto in Campidoglio, tra il colonnato e l’entrata Sisto IV, quella usata dai dipendenti comunali per accedere al palazzo. Poi si è cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco. A soccorrerlo è stato un poliziotto, in servizio per la visita dei Reali di Svezia.
L’agente si è tolto il giubbotto e lo ha gettato sull’uomo per spegnere le fiamme, aiutato da alcuni dipendenti del Comune. «Sono disperato», ha confessato con un filo di voce ai soccorritori. «Sono un disoccupato, il mio è stato un gesto dimostrativo», ha confermato più tardi ai medici del Sant’Eugenio, dove è stato ricoverato per ustioni di secondo e terzo grado sul 20 per cento del corpo.
«S’è messo a piangere - ha raccontato la sua compagna Paola -. Mi ha detto che aveva dovuto farlo, perché nessuno lo stava ad ascoltare e gli dava risposte alla sua richiesta di disoccupazione. Aveva lavorato tre anni in una cooperativa. A ottobre era stato licenziato e da metà gennaio non si sa quante volte è andato all’Inps, per chiedere notizie per la disoccupazione. Continuavano a ripetergli di non sapere niente, di farsi vedere più in là». «Due giorni fa - conclude la donna - il direttore dell’Inps lo ha ricevuto e gli ha spiegato che la cooperativa aveva versato solo i contributi pensionistici, ma non quelli per il sussidio».
«Ciò che è accaduto non ci lascia indifferenti - dichiara l’assessore provinciale al Lavoro Massimiliano Smeriglio -. Verificheremo con rigore i comportanti dell’ex datore di lavoro e saremo al fianco di Vincenzo e della sua famiglia, per individuare possibili soluzioni che possano dar loro speranze per il futuro».
Ieri pomeriggio una decina di aderenti al Coordinamento cittadino di lotta per la casa ha manifestato davanti al Campidoglio, per esprimere solidarietà a Cesaretti esponendo un cartello: «Vincè: Roma sta con te. Casa, reddito, dignità». «Stiamo parlando di una persona che si svegliava tutte le notti alle 3 per andare a consegnare il pane - racconta Danilo, un suo amico -. Quando, per problemi di salute, ha chiesto di essere spostato dal turno notturno a un qualsiasi altro servizio, è stato licenziato in tronco. Non è giusto. È un gran lavoratore, una persona dedita alla famiglia, un bravo uomo».
mercoledì 4 marzo 2009
INDICI DI BORSA AI RAGGI X
Aggiungo l'ennesima notiziaccia sulle Borse mondiali.
INDICI DI BORSA AI RAGGI X Giornata traumatica per i mercati finanziari, con le Borse europee che cedono più di 3 punti percentuali. Facciamo il punto sul quadro dei principali indici: 1) Borse Europa. Stamattina Francoforte, Parigi e Madrid hanno fatto segnare nuovi minimi del 2009. Gli indici sono tornati sui livelli del 2003/2004. Situazione analoga per Londra che si muove a 1 punto dai minimi dell’ottobre 2008. 2) Borsa Milano. Piazza Affari è messa molto peggio delle altre Borse europee, anche per la massiccia presenza nei suoi indici dei titoli finanziari (banche e assicurazioni), peggior comparto da inizio anno. Con il -4% di stamattina il Mibtel è tornato sui livelli del maggio 1997. Di seguito il grafico dell'EuroStoxx 50 (prime 50 blue chip europee): |
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3) Borse Est Europa. Gran parte degli indici (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca) è tornata sui livelli del 2003/2004, mentre la Russia ha guadagnato il 33% dai minimi dell’ottobre 2008. Il problema su questi mercati è soprattutto un altro: la valuta locale. Tutte le valute locali si sono schiantate in scia alla crisi finanziaria. Si va dal -23% contro euro della corona ceca, al -50% dello Szloty polacco, al -55% del rublo. Se quindi aggiungiamo l’effetto cambio, la perdita di valore delle Borse è molto più pesante. 4) Borsa Usa. Dow Jones e S&P500 hanno toccato venerdì i nuovi minimi dal 1997 e fanno buona compagnia alla Borsa di Milano, solo il Nasdaq si muove ancora poco sopra i minimi del 2008, uno dei motivi sta probabilmente nella scarsa presenza dei titoli finanziari. Di seguito l'S&P500: |
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5) Borse Asia. Lo scenario generale è per ora migliore che in Europa e Usa. Se escludiamo Tokio, tutti gli indici sono abbondantemente sopra i minimi del 2008. Spicca il caso della Borsa cinese che dai minimi dell’ottobre 2008 ha recuperato il 36% e dal primo gennaio 2009 guadagna il 20%. A Tokio il Nikkei resta aggrappato per una manciata di punti (4 per l’esattezza) ai supporti di metà ottobre. Il problema è che il loro cedimento riporterebbe la Borsa nipponica sui livelli dei primi anni ’80. Di seguito la Borsa cinese: |
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6) Borse Sudamerica. La parte del leone la sta facendo il Brasile, circa 30 punti percentuali sopra i minimi del 2008. Qui addirittura la valuta locale, il real, gioca a nostro favore nel senso che si è rivalutata di circa 8 punti nei confronti dell’euro da inizio anno e pertanto contribuisce ad ampliare la performance positiva da inizio anno. Il grafico sottostante è relativo al Bovespa in Brasile: |
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In sintesi, se vogliamo tracciare un bilancio, possiamo dire che la bufera degli ultimi mesi sta colpendo in modo particolare i listini di Europa e Stati Uniti e ciò trova fondamento nella spaventosa crisi dei big del credito. All’estremo opposto troviamo le Borse di Cina e Brasile dove sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) che un minimo di ottimismo dopo lo tsunami generato dal crack di Lehman Brothers stia lentamente tornando. |
mercoledì 25 febbraio 2009
SI FA PRESTO A DIRE NAZIONALIZZAZIONE
“Ogni cent’anni bisogna nazionalizzare le banche”. Rimasto in sordina Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed, svela la sua ricetta contro la crisi.
Dagli Stati Uniti l’ipotesi nazionalizzazione attira sempre più sostenitori e appare sempre più vicina. La bandiera di Obama potrebbe sventolare presto su Citigroup e Bank of America.
L’ipotesi di nazionalizzazione non sarebbe indolore per il mercato. In uno studio Ubs prova a tracciare le conseguenze di una simile operazione.
Gli analisti della banca d’affari svizzera dividono in tre categorie gli istituti analizzati. Quelli con un Core Tier 1 (indice che misura la solidità patrimoniale delle banche) superiore all’8% non dovrebbero avere nessun bisogno di un aiuto dello Stato. Banche con un Core Tier 1 compreso fra il 4 e l’8% che dovranno ricorrere ai vari programmi governativi: emissione di bond, garanzie statali, accettando anche severe regole. Infine nella lista stilata da Ubs si trovano gli istituti con un Core Tier 1 sotto il 4%: per loro l’unica soluzione sarà la nazionalizzazione.
Il motivo è molto semplice: il crollo dei mercati e la crisi economica potrebbe portare importanti svalutazioni e le banche con un Core Tier 1 basso rischiano di registrare perdite superiore al proprio patrimonio. Fino ad oggi, si legge nel report, l’abolizione degli standard contabili Ias 29 ha permesso di non svalutare le partecipazioni in portafoglio limitando i danni. Il proseguire del calo dei mercati, però, rischia ora di limitare gli effetti benefici. La nazionalizzazione sarebbe l’unica soluzione. “Ma non sempre – aggiungono gli analisti - le soluzioni buone per il sistema lo sono anche per gli azionisti”.
Il caso Giappone del 1998 insegna. Anche allora la crisi era caratterizzata da un forte credit crunch, dallo scoppio di una bolla immobiliare e da una deflazione durata anni con tassi ai minimi storici. Il governo, per salvare il sistema finanziario, fu costretto a nazionalizzare due banche in crisi, LTBC e NCB. Le regole del processo erano chiare: azzeramento totale del valore delle azioni che per legge passarono sotto il controllo dello Stato, svalutazione del 25% dei titoli di privilegio, rimborso dei bond.
Sarebbe questo il vero motivo per cui, da quando sia in America che in Europa si è tornato a parlare di nazionalizzazioni, le banche sono crollate. Gli azionisti temono infatti che lo Stato espropri a prezzi ridicoli i loro titoli. E Ubs avverte che se gli Usa procederanno a nazionalizzazione con azzeramento del valore delle azioni, il giorno dopo in Europa le banche verrebbero travolte dalle vendite. Il consiglio dunque è di agire in maniera coordinata tra i diversi Paesi, ma in fretta, altrimenti più si rimanda l’intervento più i mercati subiranno l’incertezza dell’intervento.
Gli analisti delle banca svizzera hanno stilato la lista dei titoli che in Europa non avranno nulla da temere, fra questi: Intesa SanPaolo, Hsbc, Itau Td Bank e Scotiabank non rischiano nessuna nazionalizzazione. Le altre banche italiane non sono citate da Ubs, ma tutte hanno un Core Tier 1 superiore al 4%.
Stamattina anche il premier Silvio Berlusconi ha detto chiaramente che "in Italia la nazionalizzazione delle banche non è in nessun modo ipotizzabile perché il sistema bancario è molto solido, siamo un popolo di risparmiatori e le nostre banche non hanno corso l'avventura dei titoli tossici".
Il presidente del Consiglio ha aggiunto che il governo ha messo a disposizione 10-12 miliardi "per incrementare la patrimonializzazione delle banche", ma "ad oggi nessuna banca italiana si è sentita necessitata ad utilizzare queste somme".
martedì 17 febbraio 2009
UNICREDIT E L' EST EUROPA
Il sistema finanziario dell’Europa dell’Est scricchiola e le banche internazionali presenti nell’area devono fronteggiare una situazione sempre più critica. La caduta del prezzo del petrolio fa vacillare anche la Russia: la settimana scorsa il premier Vladimir Putin ha messo la firma ad un secondo pacchetto di aiuti al sistema creditizio da 1.000 miliardi di rubli (46,7 miliardi di euro), ma i soldi in arrivo non sembrano riuscire ad allentare le tensioni.
Stanotte il numero uno dell’associazione delle banche regionali della Russia, Anatoly Aksakov, ha detto ai giornalisti che gli istituti di credito chiederanno assistenza al governo di Mosca nella trattativa intavolata per avere una moratoria sui prestiti con le banche europee. In ballo ci sono 135 miliardi di euro di debiti in scadenza nel 2009 e 400 milioni di euro nei 5 anni successivi.
L’affermazione ha scosso stamattina i mercati finanziari ed ha costretto il ministro delle Finanze, Alerei Kudrin, a smentire.
Gli eventi della mattinata sono l’ultimo dei segnali di un peggioramento dello scenario nell’area e sono un nuovo avvertimento per Unicredit . Per la banca guidata da Alessandro Profumo la Russia vale l’1,69% del totale degli impieghi del gruppo a fine settembre 2008. I depositi arrivano a 7,3 miliardi di euro, l’1,1% sul valore complessivo del gruppo.
Un analista che preferisce l’anonimato si aspetta che Unicredit alzi gli accantonamenti prudenziali legati all’area dell’Europa dell’Est portandoli al 2,00/2,50 per cento degli impieghi totali. In Italia la gestione del rischio prevede accantonamenti pari a circa lo 0,8-1,0 per cento sul totale degli impieghi.
In tutta l’area lo scenario sta diventando sempre più tenebroso. La fuga dei capitali esteri, gli stessi che avevano alimentato la vivace crescita dell’ultimo decennio, ha messo a terra il rublo (-35% contro l’euro negli ultimi quattro mesi). La discesa della valuta sta soffocando le famiglie che in questi anni si sono indebitate in euro per approfittare del favorevole differenziale tra i tassi di interesse. Di conseguenza, le banche si trovano a fronteggiare il pericolo di un vertiginoso aumento dei clienti che non saranno in grado di pagare la rata del mutuo denominato in euro.
Non stanno meglio le aziende, che nell’ultimo decennio si sono legate mani e piedi alla Germania e oggi risentono in modo pesante della recessione della prima economia europea.
Unicredito non può permettersi di stare a guardare quello che succede nel Centro-est Europa. Gli impieghi del gruppo nella zona ammontavano a fine settembre a 88,4 miliardi di euro: la quota maggiore è in Polonia (21,7 miliardi di euro), la Russia è al secondo posto con 10,6 miliardi di euro e di seguito ci sono la Croazia (8,1 miliardi), la Repubblica Ceca (6,7 miliardi) e l’Ucraina (4,5 miliardi). Nell’area sono compresi anche i Paesi asiatici dell’ex Unione Sovietica, quelli che stanno subendo i colpi più duri dalla crisi e dalla discesa del prezzo del petrolio.
Il Kazakhstan (4,25 miliardi di euro di impieghi) è uno di questi, Unicredit è entrato nel Paese nel giugno del 2007 rilevando Atf Bank, la quarta banca locale: in quel momento le prospettive erano rosee e spendere 1,7 miliardi di euro, circa 30 volte gli utili, sembrava una scelta ponderata. Ad un anno e mezzo di distanza la situazione si è capovolta, la settimana scorsa il governo di Astana, ha svalutato la moneta del 18% e in precedenza aveva nazionalizzato i primi due istituti di credito del Paese.
giovedì 5 febbraio 2009
Unicredit Banca: non era che ci potevi contare?
Slogan e basta.
venerdì 30 gennaio 2009
venerdì 23 gennaio 2009
E' panico?
Tre settimane di fuoco, dopo un breve prologo illusorio di tre sedute, e il 2009 di Piazza Affari ha già totalizzato una discesa del 10%.
La gravità della situazione è confermata dal fatto che già il 2008 si era chiuso con una perdita del 50% e tutti si auguravano almeno una “ripresina”. Invece, proprio oggi l’indice Mibtel è ridisceso a livelli che non toccava dal luglio 1997, quando nelle nostre tasche tintinnava ancora la vecchia lira.
Nessun rimbalzo quindi, nessuna voglia di comprare azioni a prezzi scontati. Ma di quale sconto si può parlare, infatti, se gran parte degli strategisti descrive le prospettive dei mercati azionari con toni a dir poco apocalittici?
E paradossalmente, conta poco il fatto che molti di loro portino ancora la casacca sgualcita di quelle istituzioni finanziarie che sono state corresponsabili dei disastri attuali. Vien da chiederci: ma non potevano dircele prima queste cose, quando nel pentolone bolliva un intruglio fatto da ingredienti misteriosi che soltanto loro dovevano ben conoscere?
Adesso tutti giù a pontificare che il peggio non è alle spalle, che di auto non se ne venderanno più, che le case, quelle finite, resteranno sfitte per decenni, mentre quelle non finite, resteranno lì a metà dell'opera a imperitura memoria del crash del 2008... sperando che non venga cancellato dall’imperitura memoria del crash del 2009.
Il mercato è giustamente disorientato, così come lo sono le autorità pubbliche e gli imprenditori. Solo un anno fa i manager proiettavano dati fino alle calende greche tanta era la visibilità sul futuro radioso del mondo. Ora, quando sfidano l’impossibile, si spingono a confermare che il giorno dopo saranno seduti alla loro scrivania.
Oggi viviamo in un mondo che non ha alcuna certezza sul futuro e purtroppo per chi investe in Borsa è la cosa peggiore. Chiunque può sostenere tutto e il contrario di tutto. Se una banca annuncia un buco, qualcuno può sempre dire che il buco era più grosso. Anche per questo ogni prezzo di Borsa ha la sua ragionevolezza: se la Fiat è fallita vale “zero”, se la Fiat diventerà uno dei protagonisti mondiali dell’industria dell’auto, fra 5 anni potrebbe valere 50 euro.
Erano molto più belli i tempi della certezza, quando per esempio la scorsa estate correvamo ad acquistare il petrolio a 145 dollari al barile perché destinato ad arrivare “certamente” a 200 dollari al barile entro la fine del 2008. Oggi, sei mesi dopo, è a 42 dollari al barile.
Non fa niente, siamo tutti certi che a 200 dollari ci tornerà prima o poi, basta aspettare. L’unico problema è che non sappiamo dove parcheggiare i barili.
lunedì 12 gennaio 2009
Se mi guardi TI SENTO...sordità, frustazioni, emozioni, speranze
Se mi guardi TI SENTO
di Loris Facchinetti
Nel rispetto della risoluzione dell‘Unione Europea, i Francesi stanno già inserendo la Lingua dei segni nei programmi delle elementari. Ma solo se la scuola si aprirà totalmente, il bambino non udente potrà essere messo in condizione di comunicare con il mondo in maniera completa. E, in questo, l’Italia può essere un Paese d’avanguardia. È il sogno di Ida Collu, presidente dell’Ente Nazionale dei Sordomuti.
Ida Collu, presidente
dell'Ente Nazionale Sordomuti
È un continente inesplorato, separato, diverso, un arcipelago indefinito e rarefatto dove gli abitanti comunicano in lingue sconosciute fatte di segni, di espressioni, di gesti, di simboli. È un pianeta dove vivono uomini, donne e bambini che sorridono, piangono, soffrono, gioiscono come tutti e come tutti amano e sognano, ma diversamente da tutti noi, non possono sentire. Sono i “non udenti”. Nessun rumore. Non un suono, un fruscìo, un sussurro. Non un brusìo, un mormorìo sommesso, un canto lontano, un’allegra risata, un frinire di cicala. Niente ticchettìo di pioggia o frangersi di risacca o rombo di tuono. Mai parole dolci d’amore, vagiti di bimbi, gemiti di dolore. Non uno stormire di foglie, un sibilo del vento, un grido, una melodia, una musica.
Nessuna voce per bisbigliare, per urlare, per invocare, per pregare. Mai una voce per chiamare, per cercare, per parlare. Mai il suono del “tuo” nome. Mai la magia del “suo” nome. Mai. Silenzio: più che nelle inaccessibili altitudini di un monastero tibetano, più che tra le mistiche ombre di un’antica clausura, più ancora che nel deserto tra le pietre consumate di un nascosto eremo o nella solitudine sconfinata dell’oceano. Nessun rumore, nessun’ eco. Il silenzio.
È la patria della comunità dei sordi. Pensieri, immagini, paure e sentimenti cercano sentieri impossibili per tramutarsi in parole e suoni. Slanci, sogni e desideri si spengono prima di bussare al cuore e alla mente degli “altri”, trattenuti sulla soglia della società della parola, esitanti sul confine invisibile che separa il silenzio dal suono.
Ma è anche un mondo dove ogni vibrazione, ogni palpito, ogni piccola sfumatura, ogni leggero fremito dell’anima diventano un linguaggio pieno ed intenso, vasto e profondo, unico ed essenziale come linfa che alimenta e nutre la vita. Comunicare. Comunicare con gli “udenti”, padroni della parola, dominatori dei suoni, costruttori della società del rumore, indifferenti protagonisti di una civiltà che produce esclusioni e crea emarginazione, è il dramma ed il desiderio millenario della “comunità silenziosa”.......
Un'altra dimensione che spesso non comprendiamo. Mi pregio presentarvi questo splendido articolo che descrive il mondo dei non udenti. Per leggere l'articolo completo, cliccare sul link del titolo
sabato 10 gennaio 2009
Da ALTROCONSUMO... Notizie sul D.L. 29 nov 2008 N. 185
Nell' ultimo numero di Soldi & Dirittti di Altroconsumo (www.altroconsumo.it) c'è un articolo molto interessante sull'ultima manovra del Governo a favore dei mutuatari vi è un articolo a pag. 8 intitolato "E' arrivato un aiutino" che rafforza ogni mio dubbio riguardo la manovra.
Si legge ad esempio sul Decreto "Anti crisi" (D.L. 29 nov 2008 n.185) Su tutti i giornali si è parlato di un tetto massimo del 4%. Ma non è precisamente così. In realtà, il decreto governativo ha stabilito che, per chi ha un mutuo a tasso variabile, il tasso che resta in carico al mutuatario è quello più alto tra il 4% e il tasso stabilito al momento in cui si è stipulato il contratto. Questo significa che tutti i cittadini che sono partiti con un tasso superiore al 4% difficilmente trarranno vantaggio da questo provvedimento: per il semplice motivo che i tassi di mercato oggi sono tendenzialmente più bassi.Solo chi ha uno spread particolarmente alto potrebbe guadagnarci." Quindi in poche parole, chi aveva stipulato a tasso iniziale inferiore al 4% godrà appunto di tale beneficio al 4% che è stato riportato sui giornali.
Continua poi dicendo che il beneficio per coloro che hanno aperto il mutuo prendendo come riferimento gli anni 2003/2006 sarà al massimo di 39 euro, tra l'altro a carico dello Stato. Sul tasso BCE prescritto quale indicizzazione ai nuovi mutui per la casa, chiede di far attenzione. Sì, sarà anche un po' più stabile... ma le banche adegueranno il minor introito con uno spread maggiore.
Finisce l'articolo comunque auspicandosi una maggior concorrenza fra le banche, vero stimolo al ribasso dei costi di un Mutuo... e il Governo cosa fa?
mercoledì 7 gennaio 2009
La Polemica contro i siti dei mafiosi non cambia l'atteggiamento strafottente di Facebook
IL CASO ON LINE
Mafiosi su Facebook, esplode la polemica sul Web
La mafia sbarca su Facebook, e solo a distanza di tempo scatta la polemica. Totò Riina, Bernardo Provenzano e altri loschi personaggi, che hanno fatto scandalo sulle pagine della cronaca nera degli anni passati, diventano “idoli” di chi frequenta il più famoso social network del Web.
E’ poco più di un mese che il fenomeno dei “malviventi celebri” ha preso piede su Facebook, e per farne parte ci vuole veramente poco. Infatti è possibile incappare in questi gruppi non soltanto cercandoli, ma basta che un conoscente si sia iscritto o sia diventato fan della pagina in questione per poi vederlo comparire scritto sulla propria bacheca. A quel punto basta ciccare sul collegamento e il gioco è fatto. Fortunatamente esiste una procedura che consente di segnalare a Facebook le pagine offensive o provocatorie, in ogni caso rimane comunque preoccupante il fatto che chiunque possa creare pagine inneggianti al crimine.
Ma cosa c’è realmente dietro questi gruppi? Stupidità, incoscienza o una sorta di regia che muove i fili usando Internet per una squallida operazione di “marketing”? Al momento è un mistero, fatto sta che il dato è allarmante, gli iscritti sono migliaia, e ad esserlo ancora di più è che nessuno fino ad ora si sia preoccupato di rimuovere queste pagine dal web.
Fortunatamente però non tutta la rete è “marcia”, e dopo la nascita di questi gruppi a favore del “male” sono nate altre e numerosissime community per combattere il fenomeno. C’è infatti chi propone di raccogliere 100.000 firme per inviare un messaggio al Presidente della commissione antimafia Pisanu, o chi scrive a lettere cubitali “A noi la mafia fa schifo”. Ma le ultime scorribande su Facebook sono una nuova strategia di comunicazione di Cosa Nostra? Qual è il reale confine fra chi diventa amico di Riina e chi progetta altro in rete? Nonostante tutto la Procura di Palermo non ha aperto alcuna indagine sui profili apparsi sul social network intestati a diversi boss mafiosi o sui presunti gruppi di fan. Fonti giudiziarie hanno inoltre rivelato che allo stato sui profili “non si configurano notizie di reato”.
Anche Rita Borsellino è intervenuta a proposito della polemica sollevata sulla presenza di gruppi all'interno del social network a sostegno dei boss mafiosi e ha dichiarato: "Lo strumento di Facebook è utile e importante oltre che moderno. Era prevedibile che qualcuno cercasse di approfittarne per altri scopi e usasse questo mezzo a suo uso e consumo. Verrebbe la tentazione di dire mi tiro fuori dal social network e io ci sono dentro da ottobre scorso. E invece no: bisogna occuparlo per fare in modo che chi ha cattive intenzioni non trovi spazio e sia costretto a confrontarsi con chi invece ne fa un uso corretto.
Quanto alla gestione del social network che si ferma davanti al seno di una donna che allatta e non davanti a gruppi che inneggiano persone che hanno compiuto atti scellerati, ucciso e fatto stragi, questo da' da pensare. Ma – ha aggiunto - deve spingere chi ne fa un corretto uso a dire ci sto dentro almeno per controllarlo e utilizzarlo bene come fa la grande maggioranza delle persone, per estromettere questo tipo di situazioni. E' un pò come quando mi si diceva di lasciare via D'Amelio dopo la strage, io non l'ho fatto, sono loro che se ne devono andare e non noi"
lunedì 5 gennaio 2009
sabato 3 gennaio 2009
NO ALLA MAFIA SU FACEBOOK !
[Photo]
Ho scoperto che sul Social network FACEBOOK che va tanto di moda, un gruppo che inneggiava "No la mafia su facebook" e mi sono incuriosito andando a vedere di cosa si trattasse. Purtroppo, ed è veramente incredibile, ci sono delle pagine che inneggiano a boss mafiosi con tanto di commenti . UNA VERA SCHIFEZZA che non si può tollerare neanche nel nome della LIBERTA' o della DEMOCRAZIA. QUI SIAMO TUTTI IMPAZZITI.
QUINDI ho scritto a facebook ( e attendo risposta ) questa lettera in inglese (semmai facessero i finti tonti):
You must forgive me for using this means to talk to someone
"who counts" at facebook but me and a lot of facebookians are extremely angry with you!
By no means, we accept that may exist "facebook fan pages"
about MAFIA people as "Totò Riina" and others signaled to you I do not even know! but the pages are still there. What are you waiting for?? This is an extreme offense to good and honest people and I believe it should be shared by you putting more attention to what goes on in your Social network. I pretend , in the name of millions of honest people that don't even know how to contact you, that you immediately forbide and turn off those immoral pages that have been signaled. If you do not do so, we all will write about your awfull behaviour to the world through Internet and by other means.
Please act now and Vigilate more!
ma FACEBOOK pare fregarsene delle segnalazioni come la mia, e le pagine restano lì, per la gioia di quei delinquentelli che credono al male e non si rendono conto che sono solo cretini... da quanto si sappia, la polizia già sta indagando su di loro!
Io intanto vi chiedo "BOICOTTIAMO FACEBOOK"
FINTANTO CHE NON TOGLIERA' LE PAGINE INNEGGIANTI AI BOSS MAFIOSI, IN NOME DELLA NOSTRA LIBERTA', DEI VALORI MORALI CHE ANCORA, NONSTANTE TUTTO, NON ABBIAMO MAI PERSO.
Che i mafiosi vadano a inneggiare chi gli pare al bar e non
su un Social Network!
Per favore scrivete anche voi una lettera a facebook
reclamando!